Parlano di noi

La telemedicina nasce quando le competenze mediche e quelle tecnico-informatiche si uniscono. Da questo sodalizio deriva anche la sua peculiarità: svolgere da remoto una serie di attività che ad oggi avvengono negli ambulatori o negli ospedali. Una visita, un percorso di riabilitazione e persino un intervento chirurgico.

vantaggi si possono facilmente intuire. Gestione più efficace del paziente, con prescrizione mirata di terapie, riduzione delle visite mediche in presenza e dei ricoveri in ospedale, possibilità di assistere facilmente anche pazienti che non si possono muovere da casa o che abitano in zone isolate.

Di telemedicina si parla da ben prima che arrivasse il Covid-19, ma è stata l’emergenza sanitaria a farci capire quanto ne avremmo bisogno.

La forma più nota di telemedicina è quella della visita medica da remoto. Ma la televisita è solo una delle possibilità che abbiamo a disposizione“, precisa il professor Massimo Mangia, docente di Informatica Medicina alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Chieti, di e-Health presso la LUISS Business School di Roma e con oltre 30 anni di esperienza come consulente di aziende sanitarie. È lui a fare una panoramica dei servizi realizzabili già oggi, con le tecnologie di cui disponiamo: gestione delle patologie tempo-dipendenti, creazione di un ambulatorio virtuale, miglioramento nella precisione diagnostica, interventi chirurgici a distanza, teleconsulto medico, telemonitoraggio, teleriabilitazione e teleassistenza.

Ma nel concreto come si realizzano tutte queste attività? Attraverso l’uso di apparecchi ai quali il paziente può avere facile accesso e di una piattaforma che raccolga tutti i dati.

Vengono utilizzati i device ai quali si è abituati, ma collegati via bluetooth alla piattaforma del medico, passando attraverso un’app.

Stiamo parlando, ad esempio, di una bilancia per chi deve tenere sotto controllo il peso, un saturimetro per i livelli di ossigeno nel sangue, lo sfigmomanometro per misurare la pressione, ma anche il glucometro per la glicemia o sensori di posizione che avvisano se la persona cade ed eventualmente fanno partire automaticamente la chiamata di soccorso. Oltre naturalmente a un computer o un tablet per le video-chiamate. Insomma, hai molti più servizi a domicilio, sei più seguito e l’intero sistema è più rapido.

Bari invece sono state ideate delle magliette che hanno in dotazione tutti gli strumenti per rilevare i parametri vitali della persona e trasmettere il dato agli operatori sanitari. Ventiquattrore su 24. Il progetto si chiama T-Care ed è rivolto soprattutto a pazienti affetti da patologie cardiache e cardiorespiratorie, ma anche ad anziani fragili e non autosufficienti.

Dall’altra parte della rete, c’è il Policlinico Ospedale Giovanni XXIII, dove da oltre 20 anni si fa ricerca sull’utilizzo della telemedicina in ambito cardiologico. “Si è rivelato uno strumento molto utile per i medici – conferma il professor Stefano Favale, direttore del reparto di Cardiologia universitaria. – Si possono monitorare pazienti che di solito devono procedere a visite di controllo ogni tre mesi e soprattutto possiamo scoprire nell’immediato un’alterazione dei loro parametri, intervenendo in modo tempestivo ed evitando che le condizioni si aggravino. Nel 2016 abbiamo fatto alcune valutazioni e ci siamo accorti di aver ridotto del 40% l’attività ambulatoriale ordinaria per chi soffre di scompenso cardiaco. Questo permette al personale di ottimizzare le proprie ore di lavoro e di aumentare l’accuratezza nella gestione del paziente“.

Al momento il team del professor Favale ha in carico 2mila persone con questa modalità, ma già si prevede di aumentare il numero. Il risultato più importante, però, è un altro: “Il telemonitoraggio ci consente di raggiungere anche i pazienti che abitano nei luoghi più isolati, oppure a diversi chilometri di distanza. In Calabria, ad esempio. Può capitare che la situazione si possa aggravare senza che la persona se ne accorga, perché non ha sintomi. In questo modo invece possiamo saperlo subito ed evitare il ricovero, ma anche il decesso“, aggiunge.

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